ANNO 14 n° 118
Livingstone in salotto Viva le capriole del cuore
>>>>>> di Massimiliano Capo <<<<<<
27/04/2015 - 00:01

di Massimiliano Capo

VITERBO - ''Il vantaggio della cattiva memoria è che si gode parecchie volte delle stesse cose per la prima volta''.

Il buon vecchio Federico Nietzsche non tradisce mai.

E in tempi che hanno fatto della memoria una ossessione ai limiti del patologico chissà che non sia un buon antidoto affidarsi alla capacità di dimenticare.

Ma cosa è la memoria? E cos’è il ricordo?

La memoria è una parolina divenuta magica e adatta per tutte le occasioni, una specie di coperta di Linus, buona quando non sappiamo dove stiamo andando e ci prende la paura e allora ci affidiamo alla forza salvifica del ricordo del nostro provenire.

Un mantra, che ci ritroviamo a pronunciare, più o meno consciamente, e sentire ogni qual volta qualcuno ci ricorda di ricordare da dove veniamo.

E di imparare dal nostro passato.

Come se nel passato fosse scritto il futuro e non, come accade il più delle volte, semplicemente quello che è stato e che spesso, con le catene dell’abitudine, della pigrizia e della paura, ci inchioda alle cose e ai pensieri e ai modi di fare di cui vorremmo liberarci per crescere e cambiare, finalmente.

Funzione fondamentale del cervello di noi essere umani, la memoria, e il relativo ricordare, sono diventati il terreno conteso delle narrazioni contemporanee (oltre che una gabbia da cui è difficile scappare).

Senza scomodare Lyotard e la sua condizione postmoderna (che sulla crisi delle narrazioni novecentesche ha costruito l’impianto della sua riflessione), basta rivolgere lo sguardo indietro di un paio di giorni, al 25 aprile appena trascorso, per comprendere quanto ancora ci sia da fare intorno alla definizione di una memoria condivisa.

Condivisa ha a che fare con la invenzione di una tradizione in cui riconoscersi, ''uno spazio comune in cui vittime e carnefici, colpevoli e innocenti, possano confrontarsi all’insegna di una certezza e di una verità che non siano solo quelle delle loro storie personali, in cui finalmente sia consentito al passato di passare, in cui sia possibile offrire, a chi lo vuole, un colpevole da perdonare'' (Giovanni De Luna).

''Sparare, uccidere, morire… Se sei un soldato di un esercito, non vedi chi ammazzi perché spari con una mitragliatrice o con un fucile a tiro lungo o vai all’assalto ubriaco di paura. Nella guerra ravvicinata, com’era la nostra, sei più cosciente di tutto perché la gente che ammazzi la vedi da vicino, sia da viva che da morta. Io posso dire con certezza non che non provi niente, ma che non fai in tempo a provare qualcosa: se uccidi perché stai per essere ucciso, sei pieno di adrenalina e non pensi proprio a niente. La domanda diventa più lecita così: ''E vent’anni dopo?'. Venti e anche cinquant’anni dopo molte cose affiorano all’improvviso, a volte un solo dettaglio fotografico che esplode terribile: angoscia, paura, orrore, mai più la guerra, mai più avere vent’anni!…Sì, si maledicono i propri vent’anni! La memoria è molto più aggressiva e crudele della realtà''.

Così Giulio Questi in un suo bel libro di memorie, tanto per cambiare, della Resistenza.

Alla memoria e al ricordo hanno dedicato anche un dizionario.

Un dizionario, come tutti, bellissimo.

Pieno di parole e delle loro storie. E di ricordi, come potrebbe essere altrimenti?

Memoria/non è peccato finché giova. Dopo/ è letargo di talpe.

Questo è Montale, la sliding door della paginetta odierna.

Scrive Tom Robbins che non è mai troppo tardi per farsi un’infanzia felice.

E (rubo la domanda a Manuela Mantegazza) perché dovremmo continuare, in un mondo che si fa sempre più piccolo e sempre più forte il bisogno di allargare (noi stessi, la nostra coscienza, la nostra capacità vitale) continuare a dividere la vita in fasi?

Perché dovremmo affidare alla ripartizione tradizionale di passato presente e futuro lo spazio del nostro agire quotidiano?

''Se ad ogni età, fossimo capaci di giocare come bambini, di innamorarci come adolescenti, di ridere senza freni, di mantenere o sguardo incantato della nostra gioventù, ma fossimo allo stesso tempo responsabili, maturi, solidi e rassicuranti, forse potremmo fare un grande salto in avanti nella storia dell’evoluzione''.

Dovremmo imparare ad esplorare il tempo in modo nuovo e affatto diverso.

E ad esplorare noi stessi senza aver paura di rompere equilibri che sembrano inamovibili, con la capacità di far compiere ''capriole al cuore''e con la voglia ‘implacabile di mantenersi innamorati’.

Perché così, nell’innocenza giocosa di un pigro equilibrista, poi un giorno ti ritrovi a guardare negli occhi verdiazzurri la ragazzina dai capelli biondi e a sentire, alzando lo sguardo al cielo color del mare, che il silenzio di quell’attimo ha un suono bellissimo.

Tipo quello della vita.





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